Travolto e abbandonato: la solitudine dell’ultimo viaggio di Lamine Barro
Si chiamava Lamine Barro, aveva solo 27 anni. La sua giovane vita si è spenta nella notte di ieri, sull’asfalto della provinciale che collega Mesagne a San Vito dei Normanni. Stava tornando da uno dei due lavori che affrontava ogni giorno con dignità e sacrificio. Era quasi mezzanotte quando un’auto l’ha travolto. Il conducente non si è fermato. Non ha nemmeno provato a capire se fosse ancora vivo. Ha premuto sull’acceleratore ed è fuggito da vigliacco, lasciando Lamine morente a terra, come un peso di cui liberarsi.
Per due interminabili ore, nessuno si è fermato. Nessuno ha rallentato, nessuno ha chiamato i soccorsi. Nessuno ha mostrato il minimo segno di umanità verso un ragazzo riverso sull’asfalto, in condizioni disperate. È morto così, solo, nella totale indifferenza di chi è passato accanto al suo corpo senza voltarsi.
Lamine abitava a Mesagne, in via Rosamarina, una strada secondaria che sbuca proprio sulla provinciale. Come tanti altri giovani migranti, era arrivato dal Senegal, con un sogno: lavorare, aiutare la sua famiglia, costruirsi un futuro. A dicembre era stato trasferito al CAS “Green Garden” di Carovigno e da lì aveva iniziato a spostarsi per trovare qualche giornata nei campi. In sella alla sua bicicletta, ogni giorno percorreva via San Vito per raggiungere il punto d’incontro con il pulmino che lo portava nei luoghi di lavoro.
Quella strada, spesso percorsa a velocità folle, si è trasformata per lui in una trappola. E in una condanna. Ora le forze dell’ordine stanno cercando il responsabile. Ma il danno più grande, quello umano, è già stato fatto. Perché in quel buio, Lamine è morto due volte: prima per l’impatto, poi per la colpevole assenza di chi avrebbe potuto, almeno, tentare di salvarlo.
Chi lo ha investito ha scelto la fuga. Gli altri, il silenzio. Nessuno ha avuto il coraggio, o forse il cuore, di fermarsi. E questo pesa quanto, se non più, della responsabilità di chi ha ucciso.